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Gruppo Citadel Study Abroad Programme da Charleston, USA

Estratti del lavoro realizzato dal Gruppo Citadel impegnato nell'assistenza a persone migranti e richiedenti asilo per un mese, nel quadro del loro prorgamma universitario sui diritti umani:

Barbara, 62 anni 

L'organizzazione non governativa con cui lavoriamo (LESS) ha stretto relazioni con diverse pizzerie al fine di insegnare a persone richiedenti asilo e rifugiate accuratamente selezionate l'arte della pizza, dando loro la possibilità di diventare pizzaioli. La quota di mille dollari richiesta dal corso di formazione (che dura tra i quattro e i sei mesi) è coperta dall'organizzazione o tramite donazioni. Ci hanno detto che un pizzaiolo napoletano certificato può trovare lavoro molto facilmente. Hamid, il più giovane tra gli Afghani che ho incontrato in uno dei centri di accoglienza visitati, sta frequentando attualmente uno di questi corsi. E' stato scelto dopo la fine del Ramadan, grazie soprattutto alla sua padronanza della lingua italiana. Hamid è sembrato molto entusiasta per le lezioni, anche se ha ammesso che preferisce le pietanze tradizionali del suo paese. Gli abbiamo confessato che anche a noi a volte manca il nostro cibo di casa. Lo abbiamo, poi, incoraggiato a completare il programma e cercare di adattarsi alla nuova cultura senza perdere legami con la propria.

Todd, 20 anni 

Lavoro con un gruppo di dodici persone, sei delle quali compongono una famiglia che proviene dall'India. Le rimanenti sei vengono da vari paesi Africani, tra cui la Costa D'Avorio, il Mali, il Burkina Faso. Vivono in una “struttura”, o centro d'accoglienza per richiedenti asilo, a Mugnano, cittadina alla periferia di Napoli. Mugnano è nota per le sue condizioni di generalizzata indigenza. Il mio lavoro consiste nel supportare il mio coordinatore locale, interagire con i bambini della famiglia, infondere un senso di normalità nella loro vita. Ho potuto esplorare un po' i dintorni del centro questa settimana. La mia prima impressione di Mugnano è stata la mole di spazzatura ammassata ovunque per le strade. Inoltre, le condizioni di vita negli edifici residenziali scalcinati danno l'idea di un centro urbano che deve ancora pienamente svilupparsi. La reputazione di Mugnano come città povera è francamente meritata.

Quando, tuttavia, siamo arrivati al centro di accoglienza, ho notato subito la differenza nel livello di pulizia. Il marciapiede davanti all'ingresso era stato ben spazzato, così come le scale; tutto era in ordine anche all'interno. Ho incontrato tutte le persone residenti nella struttura. Ho avuto la sensazione che inizialmente fossero un po' a disagio per la mia presenza, ma poi il clima tra noi è diventato pian piano più amichevole. La maggior parte degli uomini Africani parla soltanto francese, ad eccezione di un'unica persona anglofona. Anche i membri della famiglia indiana parlano Inglese molto bene e mi hanno aiutato abbastanza nella comunicazione con gli altri. Sono, comunque, tutti estremamente gentili. Ogni qual volta mi incontrano mi sento ormai il benvenuto. E' sorprendente come persone che hanno dovuto lasciare le proprie case si rivelino così accoglienti nei confronti di un perfetto sconosciuto.

Tucker, 33 anni 

Nel corso di queste ultime due settimane di volontariato, ho avuto la possibilità di prestare ascolto a molte storie degli uomini che vivono nel centro d'accoglienza. Gran parte di essi è accomunata dalla stessa tragica storia: una fuga dalla disoccupazione e dai governi autoritari che imperano in Africa occidentale. Molti di loro hanno vissuto pericolosi viaggi attraverso il deserto del Sahara e nella Libia stravolta dal conflitto interno, nella speranza di trovare un passaggio al di là del mare e rifugio in uno degli stati dell'Unione Europea. Lungo il tragitto, lo sradicamento e la disperazione li hanno resi bersagli perfetti per ogni sorta di sfruttamento.

Un uomo con cui ho parlato era scappato dal Gambia; era ricercato dal regime di Jammeh, dopo che il suo intero villaggio aveva osato protestare contro un progetto governativo di scavo nei terreni adiacenti. Molti bambini erano annegati nelle enormi buche provocate dalle perforazioni. La sua fronte mostra ancora una tremenda cicatrice che gli ricorda la relazione a dir poco problematica con le autorità del suo paese.

Un altro uomo era scappato dalla Nigeria in simili circostanze. Dopo essere stato accusato di contrabbando, era stato incarcerato e picchiato quotidianamente. Dopo il rilascio, la sua famiglia aveva deciso che non valeva più la pena che restasse a Lagos. Era penetrato, quindi, in Mali ed era salito a bordo di un affollato camion diretto ad attraversare il deserto. Le condizioni lungo il viaggio sono state pietose. Dal momento che la sete e le malattie mietevano molte vittime, non c'era altra scelta che seppellire senza alcuna cerimonia i corpi nelle roventi sabbie del deserto. Quando il convoglio si avvicinava a centri abitati, erano in molti a estorcere denaro agli autisti per assicurare un passaggio sicuro. Se non ricevevano denaro, una raffica di kalashnikov calava sul veicolo come avvertimento. Una volta in Libia, l'uomo nigeriano fu arrestato dagli “Arabi” e malmenato almeno tre volte al giorno, spesso sotto la pianta dei piedi. Alla nostra domanda sul perché fosse stato arrestato, ha ammesso di no riuscire ancora a darsi una spiegazione. Come l'uomo gambiano, la sua testa era piena di cicatrici. “Non ho mai portato i capelli lunghi nella mia vita”, mi ha detto, “ma ho vergogna di mostrare le cicatrici. Sono lì a privarti della tua virilità”.

In generale il centro d'accoglienza per rifugiati sembra un purgatorio. Sebbene gli operatori facciano tutto il possibile per prendersi cura dei loro novanta “ospiti”, l'incertezza della procedura per ottenere l'asilo fa sì che ben poca allegria risuoni in quei corridoi. Al contrario, gran parte delle persone sono silenziose e riservate, rispecchiando emozioni che si trascinano con le cicatrici tanto visibili, quanto interiori.

Christopher, 20 anni 

L'ultima settimana trascorsa a lavoro è stata molto bella, dal momento che ho potuto interagire di più con i migranti. In ufficio, ho collaborato con altri operatori per preparare un giro turistico all'Orto Botanico per le persone richiedenti asilo e rifugiate accolte nel centro. Mi sono dedicato a una lunga preparazione e pianificazione, dal momento che avrei dovuto guidare in prima persona una parte del tour in inglese. Arrivati finalmente al giardino, eravamo con un gruppo di circa trenta migranti. Abbiamo fatto con loro una visita di due ore nell'Orto, ed io ho condotto la versione in inglese ad ogni sezione. L'intero evento è stato un successo; tutti si sono divertiti ed hanno imparato qualcosa di nuovo. Credo, quindi, che tutto lo sforzo sia stato ben ripagato.

Emily, 23 anni 

I volontari del nostro gruppo sono stati assegnati a diversi centri d'accoglienza. Io e il mio compagno di classe, Tucker, stiamo lavorando in una struttura gestita dall'associazione Virtus. Questa organizzazione assiste i rifugiati nel difficile percorso di adattamento alla vita italiana, in attesa di ricevere una qualche forma di protezione internazionale dal governo italiano: una trafila che può durare fino a due anni! Finora, il nostro lavoro è consistito nel frequentare le lezioni di italiano insieme ai richiedenti asilo, supportarli nello studio e persino contribuire a migliorare il loro inglese. Tutti gli operatori sono molto appassionati e coinvolgenti. E' soprattutto grazie a loro che la nostra esperienza di volontariato si sta rivelando tanto piacevole.  

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